Tradizione e ipertestualità nelle aree romanze dal Medioevo ai giorni nostri
Dopo la presa di coscienza della capacità dell'uomo di causare la sua propria fine, confrontati all'equilibrio del terrore instaurato dalla guerra fredda, fino all'attuale sviluppo della collapsologia e della sua diffusione presso il grande pubblico, la nozione di apocalisse è divenuta ricorrente in numerosi discorsi e si trova applicata a svariati settori : apocalisse nucleare, apocalisse ecologica, apocalisse economica o apocalisse politica, il termine sembra poter catalizzare tutte le inquietudini e le angosce dell'umanità di fronte alla possibilità del suo annientamento. Se il legame di filiazione concettuale tra ciò che Malcolm Bull1 ha designato come un pensiero apocalittico «secolare e popolare» e la tradizione escatologica «religiosa e sapiente»2 può sollevare un dibattito, il lessico e i riferimenti culturali utilizzati dalla prima provengono senza dubbio dalla seconda3.
Nel momento in cui l'orologio dell'apocalisse segna solo pochi minuti prima di una fatidica mezzanotte, l'interesse al giorno d'oggi per questa nozione non può che essere evidente. Tuttavia, l'uso indiscriminato del termine, la sua immediata applicazione a tutti i tipi di contesti e il dissolversi dei riferimenti culturali e religiosi ad esso legati inducono inevitabilmente un impoverimento concettuale dell'idea di apocalisse, che alla fine rischia di svuotarla di ogni sostanza e, di conseguenza, di indebolire il suo potere di convinzione di fronte alle minacce che pesano sul mondo. È dunque per contrastare l'insidiosa ampiezza concettuale assunta oggi dal termine e dai suoi innumerevoli impieghi metaforici e per interrogare le molteplici deformazioni della nozione stessa di apocalisse4 che proponiamo di ritornare alla base testuale di tale nozione, per studiarne l'eredità storica, estetica e retorica dal Medioevo ai nostri giorni nelle aree romanze.
Trascrizione del greco ἀποκάλυψις, il termine rimanda inizialmente all'idea di «svelamento» o di «rivelazione», ma, prima parola dell'Apocalisse di Giovanni – ultimo libro del canone biblico cristiano –, dà anche il suo nome alla forma letteraria degli scritti apocalittici, che nelle tradizioni ebraiche e cristiane si presentano come rivelazioni divine5 riguardanti i misteri divini, il futuro più o meno lontano dell'umanità e, in particolare, ma non esclusivamente, il suo divenire escatologico, poiché la fine ultima dell'uomo e quella del mondo vi si trovano generalmente intimamente connesse6. Tra i testi apocalittici, alcuni non sono stati mantenuti né all'interno delle Scritture ebraiche (così vari scritti intertestamentari, come il Libro di Enoch, il quarto di Esdra o le Apocalissi greca e siriaca di Baruch) né all'interno della Bibbia cristiana (come le due Apocalissi apocrife degli apostoli Pietro e Paolo). Ma il genere apocalittico ha naturalmente lasciato la sua impronta nella Bibbia, sia nell'Antico Testamento (alcuni elementi del Libro di Ezechiele, passi del Libro di Zaccaria e, più specificamente, il Libro di Daniele) e nel Nuovo Testamento (l'«apocalisse sinottica» dei primi tre Vangeli, e soprattutto l'Apocalisse di Giovanni, spesso considerata l'incoronazione del genere, anche se non sempre è stata inclusa nel canone biblico).
1 Malcolm Bull, « Introducción: Para que los extremos se toquen », in : M. Bull (comp.), La teoría del apocalipsis y los fines del mundo, Fondo de Cultura Económica, México, 2000 [1ère ed. en anglais : 1995], p. 13.
2 Les thèses opposées d’une sécularisation du religieux ou d’une pensée séculaire non issue du religieux ont été respectivement défendues par Ernest Lee Tuveson et Karl Löwith et par Hans Blumenberg. Une synthèse de ce débat est proposée par Bull, op. cit., p. 20-23.
3 Cette distinction ne vise aucunement à disqualifier la première catégorie au profit de la seconde. Le fourmillement réflexif qui entoure aujourd’hui la notion d’apocalypse excède largement la sphère du religieux, mais trouve précisément sa richesse dans la multiplication des perspectives adoptées face au sentiment croissant d’angoisse qui caractérise notre présent. Parmi les réflexions séculières qui permettent ainsi de renouveler la pensée de l’apocalypse, on peut évoquer les travaux de Jean-Paul Engélibert et, en particulier, l’opposition qu’il propose entre apocalyptisme nihiliste et apocalyptisme critique, c’est-à-dire entre une posture s’arc-boutant sur la préservation de notre monde tel qu’il est et refusant toute perspective de changement et une attitude acceptant la remise en question du présent pour mieux pouvoir prévenir la fin des temps (voir l’introduction de Fabuler la fin du monde. La puissance critique des fictions d'apocalypse, La Découverte, Paris, 2019, p. 9-24).
4 Parmi ces contresens, on peut mentionner ceux qui ont entouré au fil du temps la réception de l’Apocalypse de Jean, dont le discours consolateur a été transformé en paroles terrifiantes et dont les annonces écrites pour le présent ont été lues comme des prédictions concernant la lointaine fin des temps. Voir à ce sujet les travaux de Pierre Gibert, par exemple l’entretien proposé dans le numéro de L’Histoire sur les « Fanatiques de l’Apocalypse » (n° 422, avril 2016) : « Dans la Bible, l’Apocalypse est un texte politique » (URL : https://www.lhistoire.fr/«-dans-la-bible-lapocalypse-est-un-texte-politique-»).
5 La nature de révélation divine du genre apocalyptique crée une affinité directe avec la littérature prophétique, mais les apocalypses se distinguent de cette dernière par divers aspects, notamment le contenu de cette révélation ou le statut du prophète au sein de la communauté humaine. Comme l’a signalé Harold Henry Rowley, la perspective vis-à-vis de l’avenir est également différente : « the prophets foretold the future that should arise out of the present, while the apocalyptists foretold the future that should break into the present » (The Relevance of Apocalyptic. A Study of Jewish and Christian Apocalypses from Daniel to the Revelation, Association Press, New York, 1963 [1ère ed. 1944], p. 38).
6 Il existe, bien évidemment, une très ample bibliographie sur le sujet. Un ouvrage de référence est celui de Christopher Rowland : The Open Heaven. A Study of Apocalyptic in Judaism and Early Christianity, SPCK, London, 1982. Voir, en particulier, les p. 70-72 pour une brève synthèse sur la tradition apocalyptique, ainsi définie de façon très générale : « Apocalyptic seems essentially to be about the revelation of the divine mysteries through visions or some other form of immediate disclosure of heavenly truths » (p. 70).